Il lavoro dello storico, secondo Marc Bloch, assomiglia molto a quello di un investigatore. Le fonti sono gli indizi, le tracce che il passato lascia dietro di sé. Ma, come ogni buon investigatore sa, non tutte le testimonianze dicono la verità e, soprattutto, nessuna testimonianza dice tutta la verità.
Bloch distingue tra fonti volontarie e involontarie. Le prime sono quelle prodotte con l'intenzione di comunicare un messaggio: cronache, documenti ufficiali, memorie. Le seconde sono tracce lasciate involontariamente: oggetti, architetture, pratiche sociali. Lo storico deve imparare a leggere entrambe con occhio critico, sapendo che ogni fonte è parziale, situata, e portatrice di una visione del mondo.
Le fonti possono mentire, ma possono anche dire la verità senza volerlo. Un documento ufficiale può occultare fatti scomodi, ma la sua esistenza stessa può rivelare un sistema di potere. Un oggetto quotidiano può raccontare abitudini sociali più di un trattato filosofico. Lo storico deve saper interrogare ogni traccia, mettendo in discussione anche ciò che sembra evidente.
Ma c'è un'altra dimensione delle fonti: la memoria. La memoria collettiva è una fonte potente, ma pericolosa. È selettiva, tende a costruire miti, a cancellare gli aspetti scomodi. Bloch invita a non fidarsi della memoria, ma nemmeno a disprezzarla. È un materiale prezioso, da decifrare con metodo e spirito critico.
Il mestiere dello storico è, in definitiva, un esercizio di pazienza e di onestà intellettuale. È un lavoro artigianale che richiede la capacità di ascoltare le voci del passato senza farsi ingannare dalle apparenze.